A chi viaggia sulla Casilina, a circa 13 Km da Capua, Calvi presenta il suo Castello:
“Un segnale di svolta pericolosa e un gran ponte a saetta, su un vallone scuro e profondo, vi raffrenano la corsa. Par quasi passare sul tavolato d’un ponte, sospeso sul fossato di una fortezza. Al di là del fossato vi balza incontro un castello diroccato, di tufo bigio e nero, con una gran gualdrappa di edera lucente abbrancata al tondo fianco di una torre… La città antica è rimasta presente quaggiù in questa strettura di valle, con il suo castello di guardia al ponte”[1]
Tanto indietro nel tempo… Atenolfo cominciò a fabbricarlo verso l’870 per fortificare la zona e difenderla dall’attacco dei Saraceni, ma Pandolfo che, dopo la morte del vescovo Landolfo e la conseguente divisione della contea di Capua, aveva ottenuto Teano e Caserta, alla testa di un’armata, marciò alla volta di Calvi e fece prigioniero Atenolfo. Gli dava fastidio ritrovarsi una fortezza altrui in mezzo ai suoi possedimenti.
Non riuscì nell’intento perché Landone, fratello di Atenolfo, continuò la costruzione “mentre il popolo attendeva alla fabbrica, difeso da nobili colla spada in mano”.
Dopo soli due anni di vita il solito terremoto lo distrusse, ma, dice Erchemperto: “Landone lo riattò portandosi quivi co’ suoi, sollevando i cittadini nella miglior maniera possibile e ridusse la città allo stato primiero”.[2]
Durante il periodo normanno Calvi fu possedimento di Riccardo, principe di Capua, che restituì alla sede episcopale. Durante la lotta tra Marino Marzano di Sessa e Ferrante d’Aragona, il feudatario ribelle si impadronì del castello corrompendone la guarnigione. L’aragonese, allora, assediò il maniero, ma grazie alla strenua difesa dei difensori non riuscì a conquistarlo. Ritornò la primavera seguente, e se ne impadronì con un assalto notturno di sorpresa.
Nella sua attuale struttura architettonica, dunque, è da ritenersi di epoca aragonese con pianta quadrata e quattro torri cilindriche a base scarpata, innestate agli angoli. I lavori di restauro attualmente in corso potranno darci indicazioni preziose per leggere la sua storia.
Essendo situato alle porte settentrionali della pianura campana, il castello di Calvi aveva una funzione di controllo sulla vecchia Via Latina, un’arteria stradale che ancora nel basso Medioevo assicurava la maggior parte dei collegamenti tra Roma e la Campania, ciò soprattutto perché l’Appia, l’altra grande strada consolare, risultava del tutto impraticabile all’altezza delle paludi pontine. Circondato in buona parte da un ripido fossato, il maniero di Calvi sembra essere stato studiato a tavolino come risposta a precise esigenze strategiche e militari. Non è molto grande, ma è ordinato, essenziale e compatto nelle sue linee architettoniche, presentando volumi che si distribuiscono razionalmente sulla sua di una pianta quadrata e sulle quattro torri cilindriche.
Le torri non sono piene nella loro parte inferiore, così come accadeva nell’alto Medioevo, con varie finestrelle e feritoie dietro le quali trovavano forse posto i balestrieri e gli archibugieri. C’è da aggiungere, infine, che il paramento murario delle torri si presenta realizzato con blocchi di piperno scuro, lisci e regolari, disposti con cura per linee orizzontali. Questo, almeno per quanto riguarda la loro parte inferiore, poiché più in alto il paramento quattrocentesco dei grossi conci pipernini cede il passo ad una diversa struttura muraria, realizzata con blocchetti di tufo a faccia ruvida ed alquanto irregolari, espressione evidente di un rifacimento effettuato in epoca successiva. Per quanto concerne le cortine interposte, c’è da dire che due di esse – quella a Sud e l’altra a Nord – poggiano su di uno zoccolo murario lievemente scarpato e piuttosto sfalsato all’esterno rispetto al fronte delle mura. Sul suo lato superiore è realizzato un cammino di ronda, utilizzato dai difensori per il tiro radente. Inoltre, questa specie di corridoio esterno risulta collegato tramite due piccole porte alle due torri lateráli, da dove poi è possibile accedere sia al primo piano del castello, che è situato allo stesso livello del cammino di ronda, sia alla sommità dei bastioni, salendo le scale interne delle torri. Anche la parte superiore delle cortine appare ricostruita. Infatti, le file terminali delle muraglie sono costituite dallo stesso materiale tufaceo utilizzato nel rifacimento della cima delle torri e identica appare anche la tecnica costruttiva, per cui si può dedurre che l’opera di ristrutturazione interessò tutta la parte superiore del castello. E’ molto probabile che questi lavori furono effettuati verso la fine del ‘400, dopo i ripetuti assedi che il castello subì nel corso della «congiura dei baroni» contro Ferrante d’Aragona di cui si è prima accennato. Al castello si accede attraverso una porta arcuata situata alla base della sua cortina occidentale. Questa immette in due successivi cortili ai lati dei quali vi sono diversi locali, destinati evidentemente agli alloggiamenti dei soldati. Dopo essere passati nel secondo cortile, si può salire al piano superiore salendo una scala situata nel primo ambiente a sinistra. Si arriva così a quello che un tempo veniva definito il piano nobile, dove si trovavano i saloni e gli ambienti riservati al feudatario ed ai suoi ospiti. E’ probabile che al di sopra di questo piano ci fosse anche una grande soffitta coperta che si estendeva il perimetro delle cortine.
A seguito dell’assedio di Ferrante fu riparato e reso funzionale per altri tre secoli tanto che testimonianze ci informano che nel castello abitava ancora il governatore e Pacichelli (“Regno di Napoli in prospettiva” 1702) in una sua stampa ce lo restituisce ancora tutto integro.
Fermati, o passeggier, il guardo arresta
Non è Cartago già, ma Calvi è questa,
Sotto il tempo fatal, cosa non dura.
Ma guarda ancor come da Lei si desta
Saggio Scrittor, che la fatal sventura
Onde giacque, descrive, e qual le appresta
Gloria, che Atene, e che Cartago oscura.
Ilio già cadde, e la ferocia Achea
Rese Omero immortal: Calvi l’alloro
Dona all’Atleta della pugna Elea.
Livio sul Tebro infra l’Aonio coro
non ebbe il pié; sulla pendice Ascrea
Tocca Livio secondo il plettro d’oro[3]
[1] Maiuri A., Passeggiate campane,Milano, 1948
[2] Erchemperto, Historia Langobardorum Beneventanorum
[3] Zona M., Calvi antica e moderna, Napoli, 1820 (la poesia riportata si legge a pag. XII dell’Introduzione; fu composta da D. Giovanni Canzio, fra gli Arcadi Erisco Critonite)